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L'impalpabile pulviscolo


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Inviato da: Mauro Daltin il August 21, 2002 at 23:26:23:


I.


Ricordo il giorno in cui entrai
nellâappartamento. La data precisa mi sfugge,
deve essere stato una ventina di anni fa, ma non
ne sono sicuro. La mia mente, invece, ha
trattenuto le azioni e i modi con cui ho varcato
la porta della palazzina.
Sono entrato attaccato ad un maglione di lana.
Era inverno, faceva molto freddo e decisi di
rifugiarmi in un luogo chiuso per scaldarmi.
Tirava un forte di vento che non mi permetteva di
seguire con facilitˆ la direzione esatta. Stavo
volando lungo il viale principale della cittˆ,
nella zona pedonale a quellâora semideserta.
Tentavo di ripararmi, ma lâaria rendeva inutile
ogni mio sforzo. Una folata improvvisa mi
schiant˜ contro un albero e, per un attimo, mi
ritrovai per terra, sullâasfalto. Dopo neanche un
secondo, tornai in aria e, senza forze, mi
lasciai trascinare dal soffio del vento. Sbattei
su unâinfinitˆ di oggetti, macchine e muri. Câero
abituato, certo, ma il freddo di quel giorno
rendeva il volo una sofferenza e una lotta
continua.
Le luci dei lampioni erano accese e scorgevo in
controluce i miei compagni di volo che erano
riusciti ad arrestare il loro vorticare impazzito
contro i pali o i lampioni. Invidiavo soprattutto
quelli che erano stati capaci di entrarvi
allâinterno; li osservavo volteggiare allegri
allâinterno degli involucri, al caldo della luce
e al riparo dal gelido vento.
Mi ero rassegnato a trascorrere la notte
trasportato dal soffio dellâaria, quando andai ad
infilarmi in un grosso e caldo maglione di lana.
Rimasi tramortito qualche istante per lâimpatto.
Per fortuna mi incuneai tra i piccoli buchi, la
mia temperatura sal“ tutto in un colpo e, una
volta resomi conto di dove fossi capitato,
ringraziai il cielo per aver avuto tanta grazia.
Il maglione apparteneva a Massimo, un ragazzo
che abitava nellâappartamento numero quattro di
un condominio in periferia, ma tutto questo lo
avrei saputo molto dopo. In quel momento
avvertivo solo il bisogno di scaldarmi e non
avevo alcuna intenzione di pormi delle domande su
chi fosse o dove stesse andando quel ragazzo.
Anche gli altri pulviscoli stavano cercando un
poâ di calore e, senza nessun commento o
spiegazione, ci avvicinammo lâuno allâaltro per
conferire maggior peso alle nostre masse e avere
meno possibilitˆ di staccarci dalla lana e volare
via.
Il ragazzo camminava, a volte correva, e per noi
era difficile rimanere immobili dato che qualche
spiffero dâaria gelida ci raggiungeva e ci
rendeva instabili. Ricordo che moltissimi non ce
la fecero e dovettero ritornare in balia del
vento. Io, al contrario, fui assistito dalla
buona sorte assieme ad un migliaio di miei
simili, anche se i numeri, nel caso di noi
granelli di polvere, sono, allo stesso tempo,
inutili ed impossibili.
Il viaggio dur˜ un quarto dâora.
Sentii la chiave girare nella toppa e fu un
sollievo trovarmi allâinterno di quattro mura,
senza vento nŽ freddo. Salimmo le scale ed
entrammo in un appartamento ancora pi caldo
rispetto allâandrone del condominio.
ăCiao mamma, fuori tira un vento...mi sono
dimenticato il berretto a casa e ho la fronte
congelataˇä disse Massimo mentre si spostava
verso il termosifone acceso. Quel tepore mi
raggiunse all'istante e mi sembr˜ un miracolo.
Non riuscii a comprendere la risposta della madre.
Girammo assieme al ragazzo per la casa,
inconsapevoli di quali stanze e quali porte
stessimo attraversando. Non riuscivamo a vedere
nulla, immersi nella folta massa di lana del
maglione, mentre quelli attaccati alla superficie
esterna non ci riferivano dove stessimo andando.
Ad un certo punto percepii uno spostamento brusco.
Il maglione fu gettato sul letto ed io, assieme
agli altri granelli, volai nella stanza. Mi
appoggiai sopra una mensola, vicino a libri e a
giornali giˆ occupati da una moltitudine di miei
simili. La camera era piccola, un unico letto
ancora da sistemare attaccato al muro e una
finestra con le tapparelle abbassate; qualche
mensola su cui erano appoggiati volumi, penne,
riviste e un gran numero di fogli sparsi, alcuni
scritti, altri ancora bianchi; una scrivania
vicino alla porta con una lampada e un computer,
su cui giacevano, chissˆ da quanto tempo, un
accendino rotto e un posacenere vuoto. Sopra la
tastiera del computer vedevo tantissimi
pulviscoli, sintomo inequivocabile di un rifugio
sicuro dove poter stare tranquilli, al riparo da
stracci o aspirapolvere. Rimasi immobile per
qualche ora ad osservare i movimenti del ragazzo
e dei miei compagni di stanza; poi volai in
cucina dove la madre stava guardando la
televisione distesa sul divano.


II.

Quella giornata rappresent˜ una svolta. Da quel
momento, non sono pi uscito dal palazzo e la mia
vita  proseguita per ventâanni di seguito
allâinterno di queste mura.
Conobbi tutti gli inquilini che abitavano i vari
piani della palazzina. Presi lâabitudine di
spostarmi ogni giorno da un appartamento
allâaltro e quelle facce mi divennero familiari.
Nellâappartamento quattro, il primo in cui sono
entrato, oltre a Massimo e a sua madre, viveva
anche Luigi, il fratello di Massimo. Venni a
sapere, dopo qualche giorno, che il padre se
nâera andato un paio dâanni prima assieme ad
unâaltra donna. Rimasi con loro per circa due
settimane, giusto il tempo di adattarmi al nuovo
ambiente in cui ero capitato.
I pulviscoli, che erano entrati alcuni anni prima
di me, mi aggiornarono sui fatti e sui
comportamenti dâogni individuo del palazzo. Mi
fecero conoscere i pericoli, le stanze da evitare
perchŽ troppo pulite e le persone pi nervose,
che tendevano a sbattere tappeti o coperte con il
rischio per noi di essere schiacciati.
Mi avvisarono che nellâappartamento sette, al
secondo piano, viveva una donna sola, sulla
trentina e con la mania del pulito. Era una
leggenda tra i granelli di polvere e câera chi la
sfidava entrando, in ogni caso, nelle sue stanze.
Si vociferava che pulisse tutto il giorno, senza
fermarsi, con una foga e una precisione che non
lasciava scampo ai malcapitati intrusi. Si
narrava che nessuno fosse mai riuscito a
sopravvivere per pi di un mese allâinterno del
suo appartamento, ma, in fondo, si poteva
trattare solo di unâillazione senza fondamento o
prova. In effetti, per˜, nei primi giorni di
permanenza, percepivo da quellâalloggio un rumore
quasi costante di aspirapolvere che mi inquietava
e rafforzava in me, come in tutti i nuovi
entrati, la convinzione che allâinterno si
nascondesse un pericolo reale per la nostra
sopravvivenza. Alcuni affermavano con sicurezza
che migliaia di loro amici non fecero mai
ritorno; raccontavano di aver addirittura sentito
i loro lamenti per le torture subite.
Nellâappartamento tre, invece, succedeva il
contrario. Vivevano tre ragazzi, studenti
allâuniversitˆ, che non avevano alcuna intenzione
e alcuna voglia di pulire. L“ dentro ci potevamo
rilassare e riunirci assieme in ogni angolo della
casa.
Non câera pericolo. Solo una volta al mese, uno
dei tre si metteva a riordinare, ma senza
convinzione nŽ precisione. Era facile schivare la
scopa o lo straccio che passava senza forza sopra
di noi. Rimanevamo divertiti ad osservare quel
ragazzo maldestro, accompagnato solo da una buona
intenzione, ma privo di una tecnica di pulizia
consolidata nel tempo.
Gli appartamenti in tutto erano otto, quattro al
primo piano e quattro al secondo. Due, il numero
uno e il numero sei, erano disabitati al momento
della mia entrata e, solo dopo qualche anno,
furono occupati rispettivamente da una famiglia e
da un uomo solo. Gli altri, oltre ai condomini
giˆ citati, erano abitati da altre due famiglie,
tutte composte da marito, moglie e un figlio.
Poi câera la soffitta. Era stata utilizzata per
un brevissimo periodo solo da Fabio e Sandra, una
coppia che occupava lâappartamento numero otto.
Avevano acquistato lâabitazione qualche settimana
dopo il mio ingresso. Notarono subito che quella
soffitta non era mai stata impiegata; indissero
unâassemblea per ottenere lâapprovazione di tutti
gli inquilini ad un loro eventuale sfruttamento
di quel piano. I miei compagni mi riferirono che
si trattava della prima riunione dei condomini da
quando vivevano l“ e alcuni tra noi vollero
parteciparvi come spettatori, raccontandoci in
seguito le questioni dibattute in quella sede.
Fabio propose che la soffitta potesse essere
utilizzata da loro, non come un prolungamento
della casa, ma come un eventuale ripostiglio.
Alcuni mugugnarono, ma dovettero cedere
allâevidenza che quel piano non era, fino ad ora,
mai stato usato da alcuno. Fabio, per replicare
alle deboli lamentele provenienti soprattutto da
chi abitava il secondo piano, sostenne che
sarebbe stato meglio per tutti mettere a posto la
soffitta, piuttosto che lasciarla inutilizzata e
preda della polvere e della sporcizia. La
maggioranza, alla fine, fu dâaccordo; lâunica
clausola che impose fu una divisione degli spazi
qualora quel piano, in futuro, potesse essere
utilizzato per qualche altra evenienza.
Non successe mai. I giorni successivi Fabio e
Sandra cercarono di ripulire la soffitta, ma
desistettero da quellâimpresa giudicata ben
presto impossibile; dopo i primi tentativi si
resero conto che il lavoro da compiere era troppo.

é da rilevare che per noi pulviscoli gli uomini
non avevano grande importanza.
Per noi erano vitali gli oggetti, non le persone.
Non rimanevamo attaccati a lungo agli esseri
animati perchŽ câera sempre la paura di un
movimento brusco o di una manata che potesse
gettarci da un luogo allâaltro o, nel peggiore
dei casi, arrivasse perfino a dividerci. Gli
oggetti, al contrario, erano nostri amici;
potevamo appoggiarci senza timore o apprensione.
Tra noi era difficile stringere amicizie, di
solito non ci affezionavamo ad alcuno dei nostri
simili, per il semplice fatto che eravamo troppi
e sempre poco stabili in un luogo.
Câerano molti granelli che affermavano di
appartenere ad una delle prime generazioni di
quella palazzina; altri non si muovevano dai
singoli appartamenti da anni sostenendo un
ipotetico quanto assurdo grado di anzianitˆ e, di
conseguenza, il diritto di godere del relativo
rispetto o di una superioritˆ gerarchica.
Tutti questi fatti non erano dimostrabili: le
finestre di ogni appartamento prima o poi
venivano aperte e il vento entrava e spazzava
fuori ogni giorno molti granelli. Tra quelli che
entravano e quelli che uscivano non câera alcuna
differenza e pochissimi erano coloro che si
riuscivano a distinguere lâun lâaltro: câera una
somiglianza assoluta dal punto di vista esteriore
e solo la grandezza o la forma poteva, in qualche
caso, mutare. La grandezza, per˜, non era
intrinseca ad un singolo pulviscolo, ma era
costituita dalla somma di un enorme numero di
granelli uguali che, per volontˆ o per casualitˆ,
si erano uniti in unâunica e indistinta massa. Di
solito questa sommatoria di polvere era
temporanea e i granelli, piano piano, si
staccavano tornando unici e singoli; qualche
volta, per˜, successe che questo gruppo crescesse
fino a raggiungere dimensioni impensabili.

III.

Circa un mese dopo la riunione dei condomini, a
tutti i pulviscoli presenti nella palazzina
giunse la notizia che si sarebbe tenuta
unâassemblea nella soffitta.
La notizia si sparse in brevissimo tempo. Nessuno
aveva mai organizzato un incontro e nessuno aveva
mai partecipato a qualcosa del genere. Non
esisteva alcuna organizzazione o gruppo o,
almeno, non era mai esistita fino a quel momento.
La notizia annunciava unâurgente assemblea
fissata per il ventiquattro gennaio alle ore otto
della sera; due settimane esatte dalla riunione
degli esseri umani, alla stessa ora. Non si
conosceva la fonte dellâinvito e qualcosa di
strano si nascondeva dietro il messaggio che ci
aveva raggiunto. Sembrava un ordine o cos“ era
giunto alle mie orecchie. Me lo rifer“ un gruppo
di granelli, riuniti sopra la ringhiera del
secondo piano.
ăAffermano che si terrˆ un incontro fra circa due
settimane; bisogna parteciparvi assolutamenteˇä
mi disse uno dei pulviscoli a voce bassa,
roteando su se stesso per osservare se qualcuno
lo stesse osservando o ascoltando.
ăMa ne hanno fatto una proprio ieriä risposi.
ăNon degli uomini, unâassemblea nostra, della
polvereä mi rifer“ con tono grave come se stesse
leggendo una sentenza della massima importanza.
Non detti molto credito a quella notizia, ma i
giorni successivi si continu˜ a parlare con
insistenza di quellâincontro, senza conoscere
tuttavia chi lo avesse indetto.
Qualcuno tent˜ di entrare in soffitta, ma non
ottenne alcun risultato.
Il giorno tanto atteso arriv˜ dopo due settimane
di domande, dubbi e curiositˆ che non trovarono
alcuna risposta precisa. La riunione era fissata
per le otto della sera, ma fin dal mattino una
quantitˆ enorme di polvere era asserragliata
fuori dalla porta della soffitta. Câero anchâio
tra quelli che aspettavano con trepidazione
qualche annuncio e qualche novitˆ. Verso le sei,
tutti i pulviscoli della palazzina si erano
concentrati sul pianerottolo del terzo piano e il
pavimento era interamente ricoperto da una massa
indistinta e grigia. Quelli che salivano al terzo
piano raccontavano che nei piani inferiori del
condominio era difficile trovare un singolo
granello di polvere. Gli alloggi ne erano
totalmente privi. Dissero che i tre ragazzi
dellâappartamento tre si erano addirittura
accorti della nostra mancanza e stavano brindando
alla miracolosa e inaspettata pulizia.
Dopo alcune ore trascorse in attesa, qualcuno
sollev˜ la questione del nostro ingresso nella
soffitta.
ăMica ci apriranno la porta, come fanno ad aprire
la portaˇAnche se si uniscono tutti assieme 
troppo pesante e poi non hanno la chiaveˇä disse
con ragione un granello.
In effetti, non era un problema da poco e non
riuscivamo a darci una risposta sul come saremmo
stati fatti entrare. La massa di polvere
continuava a crescere perchŽ tutti volevano
accaparrarsi uno dei primi posti davanti alla
porta. Cos“ facendo, tantissimi si univano,
mentre altri non erano in grado di appoggiarsi
per terra e volteggiavano in aria; pi si
avvicinava lâora stabilita, pi la confusione e
il nervosismo crescevano.
Alle otto in punto, un coro di voci proveniente
dallâinterno della soffitta ci invit˜ ad entrare
dalla fessura sotto la porta, da quei pochi
millimetri che dividevano il pavimento dal legno.
Non dissero altro e, a molti di noi, quella
richiesta sembr˜ alquanto bizzarra considerando
la difficoltˆ di restare attaccati a terra e
strisciare radenti alle piastrelle. Notai che la
fessura, tenuta occupata fino a quel momento da
una striscia di polvere che fungeva da guardia,
si liber˜ magicamente. Adesso, si poteva scorgere
un filo di luce che permetteva ai pi vicini di
orientarsi con maggior facilitˆ. Quelli disposti
nelle prime file stavano cominciando ad entrare:
molti sbattevano contro la porta, volavano spinte
ed insulti. Quelli che si erano uniti lâuno con
lâaltro dovettero separarsi per risultare pi
sottili ed avere maggiori possibilitˆ di entrare.
Le operazioni dâingresso durarono pi di mezzâora
e io fui tra gli ultimi ad infilarmi in quella
fessura. Dentro la stanza, vidi una quantitˆ di
polvere riunita assieme come non lâavevo mai
vista prima.
Il pavimento di legno della soffitta era
ricoperto da uno strato uniforme di polvere.
Moltissimi scatoloni pieni di giornali e riviste
di chissˆ chi; mobili rotti, credenze, materassi,
specchi, bauli, giochi per bambini, un cavallo a
dondolo e, addirittura, un frigorifero. Tutto
alla rinfusa, senza un ordine, come se quel luogo
fungesse da discarica dellâintero condominio. Noi
granelli ci distribuimmo su tutte le superfici
disponibili e un vociare costante produceva nelle
nostre menti una sensazione di apprensione e
curiositˆ. Una volta sistemati, una voce si alz˜
pi forte delle altre e, di colpo, un silenzio
invase la stanza. Non capimmo da dove
provenissero le parole e, solo qualche secondo
dopo, vedemmo una serie di granelli appoggiati
sopra un armadio.
Era da l“ che giungevano gli ordini. Sul punto
pi alto della stanza, quasi rasente al soffitto.
Unâenorme palla di polvere. Ad occhio poteva
essere grande come un pallone da calcio e doveva
essere composta da parecchie decine di migliaia
di granelli uniti insieme. Non si muoveva neanche
di un millimetro e nessun pulviscolo si staccava
dalla superficie, che appariva dura come la
scorza di un frutto. Era al centro esatto
dellâarmadio. Ai suoi lati delle piccole
montagnette di polvere, anchâesse ferme e dure.
Dallâinterno dellâenorme palla, una voce cominci˜
a spiegare a tutti i presenti i motivi di
quellâincontro. Aveva un tono basso, monocorde,
che sembrava provenire da unâaltra parte, tanto
ci giungeva ovattato e lontano. La causa di ci˜
stava nel fatto che le parole avevano la loro
origine dal cuore del grande pulviscolo; il suono
doveva superare vari strati di granelli che non
gli permettevano di espandersi, ma tendevano a
tenerlo chiuso allâinterno.
Ad ogni modo, le parole furono poche e precise.
Le decine di migliaia di granelli che giacevano
sopra lâarmadio avevano assunto il potere del
condominio, ma non si seppe per quale motivo o
diritto. Mi aspettavo qualcosa del genere. Da
settimane giravano voci su di un potere
costituito o in procinto di costituirsi. Parole
che erano sempre volate da quando ero entrato, ma
in quellâultimo periodo erano cresciute in misura
preoccupante. Notai che anche tutti gli altri non
furono sorpresi da quellâannuncio. Adesso eravamo
giˆ passati alla seconda fase: cercare di
comprendere che cosa avrebbe comportato quella
riunione nella vita di ognuno di noi.
I pensieri dei presenti correvano pi veloci
delle parole della grande palla. Continuava ad
indicare le ragioni, i profitti che ne avremmo
ricavato, lâordine che si sarebbe imposto.
Ad un certo momento, per˜, uno fra i tanti
provvedimenti ci fece sobbalzare in aria.
ăI nuovi arrivati o chi, per qualche strano caso,
non si comportasse secondo le direttive, sarˆ
rinchiuso nellâappartamento sette; bisogna
cominciare a regolare lâafflusso in questo
condominio. Per nuovi arrivati intendo chi 
nella palazzina da meno di un mese; noi abbiamo
giˆ individuato circa un milione di granelli in
questa situazione. Dâora in poi tutti voi avrete
un numero dâidentificazione per facilitare il
nostro compito, giˆ di per sŽ gravosoä disse con
lentezza e puntualitˆ.
Un brusio di lamentele si alz˜ dal pavimento,
molti si librarono in aria per protesta o
cercarono di raggiungere la porta dâuscita.

IV.

I provvedimenti furono attivati da l“ a poco. Ci
furono tre tipi di reazione: un discreto numero
di granelli si aggreg˜ al potere costituito,
cominciando a collaborare con la speranza di far
parte un giorno della grande palla; altri
decisero di abbandonare lâappartamento e si
trattava per la maggior parte dei nuovi arrivati;
la grande massa, invece, decise di rimanere per
quanto possibile neutrale, attendendo gli eventi
e posticipando una decisione definitiva. Fra
questi ultimi câero anchâio.
La grande palla decise che le riunioni si
sarebbero tenute ogni ultimo luned“ del mese alle
otto di sera.
Gli anni che seguirono quel primo incontro furono
concitati. I nuovi entrati furono trasportati
nellâappartamento numero sette. La donna che
lâabitava impazz“. Non usc“ pi di casa. Ogni
giorno doveva fronteggiare migliaia e migliaia di
nuovi intrusi e il suo lavoro di pulizia
risultava inutile. Rimaneva sveglia durante le
notti con lâaspirapolvere acceso, lo straccio in
mano e le bombolette anti-polvere sempre in
funzione. Gridava, piangeva, ma continuava lo
stesso a pulire con sempre maggior rabbia e
disperazione. Gli altri condomini chiamarono pi
volte i carabinieri che non sapevano come
comportarsi e che provvedimenti prendere di
fronte allâassurda situazione.
Per quanto riguarda noi pulviscoli, le cose
peggiorarono di giorno in giorno. Furono
costituiti dieci nuovi gruppi dâopposizione in
pochi anni, tutti in contrasto fra loro. Qualcuno
svan“ naturalmente, altri si rafforzarono con
migliaia di seguaci. La grande palla riusc“,
comunque, a rimanere la pi numerosa e la pi
seguita.
La confusione regnava sia fra noi sia fra gli
abitanti della palazzina.

In questo momento sono attaccato al vetro della
finestra della cucina dellâappartamento sette,
assieme ad un gruppo di pulviscoli appena entrati
nel condomino e subito spediti nella casa delle
torture, come ormai  conosciuta da tutti. Ho
raccontato questa storia a tutti loro, ma
principalmente lâho raccontata a me stesso, come
accade ogni giorno da qualche anno.
Adesso sono stato rinchiuso nellâappartamento
sette per unâipotetica congiura nei confronti
della grande palla; non servono prove
schiaccianti per venire puniti, ma basta lâordine
dellâenorme pulviscolo.
La donna sta gridando nella stanza da letto e
sento lâaspirapolvere che risucchia tutto quello
che trova. Fra poco sarˆ di nuovo qua, per
passare unâaltra volta i vetri con lo straccio.
Fuori  una splendida giornata di sole.
La porta-finestra che dˆ sul terrazzo  solo
appoggiata, non  chiusa del tutto; un piccolo
spiraglio  rimasto inspiegabilmente aperto.
Saluto i miei simili e mi avvicino alla porta.
Non c⏠nŽ vento nŽ freddo questa volta. Riesco a
dirigermi con facilitˆ ovunque desidero, senza
sforzi e fatiche. Mi trovo sulla soglia e sento i
passi e le urla della povera donna. La osservo
per qualche istante. Ha circa cinquantâanni
adesso, ma riesco ad immaginarla comâera
ventâanni fa. Anchâio, adesso, ho ventâanni in
pi. Volo via.





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